PINO SCACCIA (Giuseppe Scaccianoce) Nato a Roma il 17 maggio 1946. Giornalista professionista dal 1974. Alla Rai dal 10 dicembre 1979 (sede di Ancona). Trasferito al Tg1 nel giugno 1987. Inviato speciale dal 1988. Redattore capo dal 2008. In pensione da maggio 2011
Come nasce la passione per il giornalismo? Come ci sei arrivato?
Da ragazzino sognavo di viaggiare e di scrivere: beh, ho trovato un lavoro che mi permette entrambe le passioni, sono fortunato. I passaggi sono stati tanti, come i sacrifici, ma ne è valsa la pena.
La Rai, il TG1
Alla Rai sono entrato con la nascita della Terza Rete, nel 1979. E’ stata un’occasione importante per moltissimi giovani. Sono stato assunto ad Ancona, nel 1987 sono passato al Tg1. Lavorando già alla “Domenica sportiva” ero destinato allo sport, ma poi sono finito in cronaca ed è stata la mia fortuna.
Quale Rai hai trovato al tuo ingesso e quale Rai hai appena lasciato.
Non mi piace dire “ai miei tempi”, tuttavia sono costretto a fare i confronti. Nella Rai che mi ha accolto 32 anni fa, ho trovato grandi maestri e uno spirito aziendale fortissimo. Pian piano si è perso, insieme alle regole: sono saltate completamente, tutti fanno tutto. Bisognerebbe recuperare certi principi.
Uno degli inviati storici della Rai, fai una carrellata degli avvenimenti più importanti che hai seguito?
Ho avuto il privilegio di essere stato testimone di tutti i principali eventi degli ultimi vent’anni, sia in Italia che all’estero. Prima di andare in pensione ho realizzato uno Speciale Tg1 mettendo insieme alcuni miei servizi: mi sono…spaventato per quanti erano. Mafia, terrorismo, sequestri di persona e poi Balcani, Unione Sovietica, fino all’11 settembre e di seguito Afghanistan e Iraq. Fino all’ultima guerra in Libia. Per non parlare dei disastri, tsunami compreso.
Quale il reportage che ti ha più coinvolto? Quante volte hai rischiato la vita? Hai subito minacce?
Sicuramente l’ingresso a Chernobyl, a cinque anni dal disastro: ha cambiato la mia coscienza. Anche il ritrovamento dei resti di Che Guevara è stato importante, come non posso dimenticare lo scoop su Farouk. Ma nel cuore conservo soprattutto quell’ultimo viaggio con Enzo Baldoni, a Najaf. Lì ho rischiato la vita, ma non solo lì, è successo tante volte, ma ormai è il passato ed è andata bene. Anche le minacce ormai sono ricordi. Più che i rischi mi vengono in mente i disagi. Nessuno immagina quanto sia dura la vita di un inviato.
Qualcosa sulla tua vita privata. Come hai potuto conciliare un lavoro in giro per il mondo con la famiglia?
Ho la fortuna di avere una moglie intelligente che ha capito quanto era forte la mia passione. Non mi ha mai ostacolato, anzi mi ha aiutato: devo molto a lei. Anche mio figlio ha sempre tifato per me. È importante quando si sta lontano, in posti difficili, sapere di avere la famiglia alle spalle.
Ora che sei in pensione lavori più di prima, come vedi il tuo futuro? La Rai ti manca?
In maniera assolutamente casuale mi ritrovo a gestire la promozione di due libri: “Lettere dal Don” e anche un altro, sulla Libia. Sto girando l’Italia come non ho mai fatto. Poi mi rendo conto di avere un passato importante alle spalle, di avere lasciato qualcosa, perché mi invitano dappertutto. Insomma, non ho tempo per annoiarmi. Sì, la Rai mi manca. Soprattutto quando si parla di questioni che ho seguito direttamente per tanto tempo, come la Libia, o il caso Battisti e anche l’11 Settembre. Mi mancano anche gli amici, specie quelli con cui ho diviso tante avventure. E poi, parliamoci chiaro, mica mi va giù l’idea di essere stato “smagnetizzato”. Trentadue anni sono una vita. Ma adesso ne sto vivendo un’altra, altrettanto esaltante. Finché avrò inchiostro nel “calamaio” continuerò a raccontare, ognuno ha il suo destino.
Grande Pino, collega sincero con l’occhio attento alle vicende della vita e il cuore aperto per raccontarle. Generoso, disponibile, ha fatto del suo lavoro una missione. In bocca al lupo per la missione che continua…