“La mia TV e quella che ho dentro”
Allegro, ironico, divertente, estroverso, crede in tutto quello che fa. Ogni battaglia nella quale si imbarca sembra essere la prima e l’ultima della sua vita. Sanguigno e imprevedibile sa vivere momenti di grande euforia non risparmiandosi mai. Un’inesauribile fucina di idee che vanno dai cartoni animati, al recupero del patrimonio depositato nelle Teche Rai, alla fiction, come al teatro, al varietà come alla scrittura, parte in quarta anche quando sarebbe consigliabile una retromarcia, sempre con la stessa passione, con la stessa grande voglia di vivere.
Negli altri ha suscitato momenti dì amore alternati da momenti di sconsolata tenerezza. E’ la persona che a volte ti fa sorridere e scuotere la testa. A volte lo ammazzeresti volentieri per le prese di posizione non sempre in linea, per il suo essere così disarmante, genuino e, a volte, anche ruspante.
La verità che racconta è coinvolgente, condita di umorismo, pronto a quella risata lunga, particolare e trascinante. E’ la persona che meglio sa ridere di sè, delle avventure come delle dìsavventure. Sempre, nel bene e nel male.
Raccontaci i tuoi interessi, come sei arrivato in Rai
Ho cominciato a fare il giornalista a sedici anni in maniera avventurosa, oggi impensabile per un ragazzo. Frequentavo la casa di un compagno di classe, figlio di un grande giornalista del Corriere dello Sport, che vedeva in me tutto quello che avrebbe voluto vedere nel figlio, naturalmente con pochi spiragli. Un giorno mi fece la domanda che aspettavo da un sacco di tempo: “Cosa vuoi fare da grande?” Risposi senza esitazione: “Il giornalista”. “Ci puoi riuscire, in italiano sei bravo, poi hai la parlantina sciolta. Hai visto come funziona un giornale?”, “No”, “Vieni uno di questi giorni”. Il giorno dopo lo vado a trovare. Dice a uno di mostrarmi la tipografia, la redazione. Questo mi porta un po’ in giro. Poi andai a salutare il giornalista, che mi disse: “Vieni quando vuoi”. Ed io tutti i giorni uscivo da scuola con i libri, mi portavo un panino da casa e mi mettevo li seduto. Diventai una specie di parte integrante dell’arredamento, Tanto è vero che un gìorno, nella concitazione del giornale, Mario Pennacchia, diventato mio amico, si avvicinò e disse: accea “Che ce stai a fa tu qui, tié scrivi dieci righe su questa cosa”.
Mi mise in mano un’agenzia ed io veloce alla macchina da scrivere scrissi dieci righe, che furono mandate in tipografia. Da allora tutti mi facevano scrivere. Poi un giorno uno disse: “Ma questo che sta a fa qua”? Alla fine cominciarono a pagarmi.
Successivamente sono passato a Paese Sera e poi sono approdato all’Avanti, prima come critico televisivo, vice di Maurizio Scaparro. poi siccome Maurizio era indaffaratissimo, Pietro Buttata, mi promosse sul campo titolare. La collaborazione si intensificò, diventai redattore dell’Avanti. Contemporaneamente lavoravo per l’Ufficio Studi dell’IRI. Erano gli anni 60. Un giorno a fare il vice presidente della Rai ci va un mio amico, che poì diventerà amministratore delegato, Luciano Paolicchi che avevo conosciuto all’Avanti. Quando venne in Rai mi chiamò e mi disse: ‘Tu sei il critico televisivo dell’Avanti, conosco tutte le tue competenze sulla televisione, perché non vieni?”. Ci pensai un po’. Poi mi decisi ad una condizione: andare a lavorare nei programmi, la mia passìone. Dopo un anno di consulenza mi mandò al Servizio Comitato Programmi, una specie di super regia alle dirette dipendenze del Direttore Generale dell’epoca, Ettore Bernabei. Controllavamo il palinsesto, leggevamo i copioni, guardavamo i programmi prima che andassero in onda. Dipendeva da questa Direzione il Servizio Opinioni. A quell’epoca funzionava solo l’indice di gradimento. L’ascolto, non essendoci concorrenza, non veniva misurato. Nel 1967 fui nominato capo servizio programmi speciali dello spettacolo.
Gli studi?
Sono andato all’università. Volevo fare lettere, ma anche qualcosa di più specifico. Mio padre voleva che facessi giurisprudenza, ci teneva tantissimo che facessi l’avvocato. Nel frattempo la mia vita fu travolta dal lavoro, dalla famiglia, mi sposo con Rossana, mi pìovono addosso prima un figlio, poi un secondo. Mi ritrovo all’età di trent’annì in Rai, con famiglia e una laurea da prendere. Alla fine mi decido, faccio l’ultimo esame, procedura di dirìtto civile. Non ce la facevo neppure ad aprirlo quel lìbro. Andavo lì e dicevo: “Sono un giornalista, scrivo questa roba, ho due figli a casa che mi aspettano, la tesi è pronta, però io questo esame non ce la faccio a prepararlo.
Mi cacciavano tutti via. Finché un giorno andai dall’usciere e lo pregai di indicarmi una madre di famiglia. Feci vedere la fede, la foto dei pupi, la tesi di diritto costituzionale. Disse che era interessante. Era sull’articolo uno della costituzione italìana. Mi fa quattro o cinque domande e dice: “lo più di diciotto non le posso dare”. ‘Ma diciotto mi deve dare”. Discussi la tesi e mi laureaì in legge. Ho preso il diploma, l’ho incorniciato e l’ho regalato a mio padre.
Ritorniamo all’esperienza Rai.
Sono andato a fare il capo servizio dei programmi speciali dello spettacolo. Il mio capo era Sergio Silva. che mi vedeva come il fumo neglì occhi. Il capo supremo era il Prof. Romanò. Un giorno mi feci ricevere e gli chiesi: “Mi spiega quali sono questi programmi speciali?”. Lui mi fece tutta una parlata strana, come avrebbe detto Pascarella e mi fece capire in sostanza che i programmi speciali erano tutti i programmi non normali. E’ come se mi avessero messo lo zero zero davanti al nome e diventò la licenza di uccidere. Cominciai a fare tutto quello che mi passava per la testa, inventai programmi con fumetti, con pupazzi, Super gulp!, ecc. e fu il trionfo della fantasia. Poi ho fatto tantissime altre cose. Tra i programmi amo ricordare Televacca.
Benigni, come è arrivato in Rai?
Ce l’ho portato io, anche se qualcuno sostiene il contrario. Ci sono due persone che raccontano di aver portato Benigni in Rai, uno l’ha scritto pure in un libro, che ho visto con dieci anni di ritardo in una bancarella, Mi dissi: ‘Ho scritto un libro su Benigni e me lo sono scordato…”. Lo compraì, lo andai a leggere, non ero neppure citato, mai. Benigni mi era stato segnalato da Lucia Poli, la sorella di Paolo. Stava preparando con Giuseppe Bertolucci, compagno di vita di Lucia, il famoso monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia. Benigni recitò il monologo per me e mia moglie. come se avesse avuto di fronte una platea immensa. Alla fine eravamo entusiasti.
L’incontro con Massimo Fichera avviene al bar di Viale Mazzini. Gli presento Roberto Benigni. E quello fece la toccata famosa. Fece finta. Disse: “Oh Fichera!”. Fichera fece naturalmente un salto all’indietro. Devo dire che fu un incontro straordìnario, eccezionale. Il primo programma televisivo sì chiamò Onda libera per motivi di censura. lo mi opposi .Mi misi contro il direttore generale di allora che si chiamava Michele Principe e rischiai il licenziamento.
Scelsi di andare con Fichera quando fu varata la seconda rete televisiva, anche se ricevetti delle proposte più allettanti. In realtà avevamo combattuto per alcuni anni per avere la seconda rete, e tu che fai? Vai alla prima rete solo perché ti danno una promozione prima? E’ un’occasione che capita una volta nella vita. Diventai dirigente coordinatore. Dopo Fichera venne Pio De Berti, che io adoravo, sul piano personale. Pio De Berti, che era tutto il contrario di Fichera. Era l
‘immobilismo, la prudenza, i magazzini inesistenti. Ho continuato a fare il varietà, la fiction.
Tu hai inventato un genere…
quello del recupero del patrimonio Rai attraverso un nuovo linguaggio. Questa invenzione è dovuta in grande parte ad Alberto Sordi. Feci con lui Storia di un italiano. Inconsapevolmente è stato il mio maestro ed anche il creatore di un nuovo genere. Poi dopo ho continuato. Gli ultimì vent’anni di lavoro in Azienda sono sempre stati a metà. Da un lato facevo il manager, il capostruttura, anche della fiction, etc., ritagliando uno spazio all’autore. NeI 1994 l’Azienda ha ritenuto che non servivo più come manager, mi sono messo a fare l’autore a tempo pieno. Mi sono ritrovato a Via Achille Papa, da solo. In un primo momento ho pianto per tre giorni, non volevo far capire a mia moglie che cosa stavo passando, anche se lei lo aveva capito benissimo e poi a parlare con gli avvocati per fare causa. C’era un avvocato, uno che le vince tutte, mi suggerì: “Firmi questa cosa, gli portiamo via i miliardi alla Raì”. lo mi dissi: ‘Ma no, perché. la Rai è mia, ho contrìhuito a farla, perché devo essere cacciato? Ma stiamo scherzando. lo la mia parte di Rai me la riprendo”. Ho preso, ho riorganizzato le idee, le ho stampate, ho cominciato a fare il giro. Dì programmi ne feci uno solo. Per Giovanni Minoli. Andai da lui con un pacchetto. Lui ne scelse uno. Disse “Voglio fare questo, non perché mi piaccia più degli altri, ma perché è il più lungo di tutti, e questo ti da la possìhiiità di stare impegnato un anno. E li ho ricominciato. Erano le 15 puntate di “ltaliaride”. Con un buon contratto come autore e conduttore, ancora in piedi.
Che sensazione hai della Rai di oggi?
Oggi ho la sensazione che tutto si sia omologato. In realtà molte persone che stanno qua dentro non la conoscono. A me capita dì essere ricevuto quasi con i tappeti per terra dalle segretarie, dalle vecchie segretarie. “Che piacere. che onore. Dottor Governi, qua. la…”. Quasi mi chiedono l’autografo. Poi arriva il capo e non ti conosce. La cosa mi lascia interdetto. Questo rapporto sì trova nelle sfere più basse. Non ti dico poi gli operai. C’è la storia della Lazio. Sono considerato un opinion leader del mondo laziale.
In effetti era una domanda prevista, insieme alle tue passioni.
Dì passioni ne ho tante. Sono un eclettico. Come tutti i gemelli.
Vivi tutto con passione. Hai e trasmetti una grande gioia di vivere.
Se mi rendo conto di avere una lacuna su qualche cosa, entro in crisi, cerco di colmaria. Poi c’è l’esperienza, i pesi del lavoro, la famiglia, mi hanno un po’ mitigato. La musica, come fai a non seguire la musìca? Ma quale musica? La classica, si ma poi c’è la musica rock, che è gagliarda.
Ti posso dire che ovunque va Bruce Springsteen io vado. Però poi vado pure a sentire Abbado, vado a sentire pure Muti. Il teatro mi annoia. lo l’ho amato tantissìmo e posso dire anche che mi sono formato nel teatro, sia nel tealro leggero, dali’avanspettacolo alla rivista, sia nel teatro serio. Ma perché mi annoia? Perché mi sono affacciato al teatro quando c’erano attori che si chiamavano Paolo Stoppa, Rina Morelli, Gino Cervi, Vittorio Gassman, De Filippo. Adesso io vado a vedere Salemme. E’ carino e simpatico e mi diverte. Gli altri? Non saprei che cosa dire.
Il cinema? Il cinema mi travolge. Sono sempre abbarbicato a questo barlume di cinema italiano. L’altro ieri sono andato a vedere un film molto bello, dì Sergio Rubini. Sì chiama L’amore ritorna. Rubini è l’unico regista italiano che mostra di avere in qualche maniera appreso la lezione di Fellini.
Il rapporto con la Rai oggi mi sembra rasserenato.
Il rapporto è rasserenato, ma ancora ci sono grandi progetti che stanno li in attesa. Attualmente lavoro per Raitre, che adoro, a cominciare dal Direttore Paolo Ruffini, continuando con Adriano Catani, Chicco Agnese. Sono persone splendide. Rappresentano la continuità. A me fa molto piacere stare con loro.
I tuoi figli?
Uno, Massimiliano, è lo scrìttore e l’altro, Silvio, è regista. Adesso si prepara a fare l’enologo. Sono nonno felice di due nipoti, Pietro ed Emma. Emma è la prima donna che nasce in casa Governi. Noi Governi le donne le abbiamo sempre portate da fuori.
I progetti?
Ho pensato di raccogliere la memoria di quelli che stanno intorno agli ottanta anni e che nel nostro paese hanno contato qualche cosa. Ho fatto Rita Levi Montalcini, Margherita Hack, la figlia di Pietro Nenni, l’ultima figlia rimasta, la più piccola. L’ultima lavoro è stato su Furio Scarpellì, un signore nato nel 1921, quindi ha quasi ottantacinque anni. Considera che Age e Scarpelli hanno fatto il cinema italìano. Mi sono ritrovato di fronte ad un uomo con la memoria l’esperienza e la cultura di un ultraottantenne e però con la testa, i sentimenti e le passioni di un ventenne. Lui ha conservato le stesse passioni, le stesse idee politiche, se le è portate tutte dietro arricchìte dalla grande esperienza di sessant’anni di vita, dì lavoro, di professione. Sono rimasto basito. Ho detto a Furio: Vorrei riuscire a conservare le passioni come sei riuscito a conservarle tu.
Ma tu arriverai a centocinquant’anni…
Giancarlo Governi, scrittore giornalista, sceneggiatore e autore televisivo, lavora in Rai dal 1967 come capo servizio prima, capo struttura poi di Raiuno e Raidue per l’intrattenimento, il cinema e la fiction.
Realizza, come autore e conduttore trasmissioni di successo come Supergulp!, il pianeta Totò, Totò, un altro pianeta, Laurel & Hardy, Parlami d’amore Mariù, Mille bolle blu, Italìaride, La leggenda di Mister Volare, la serie Ritratti per Raitre molti altri. Pubblica una ventina di libri tra cui Alberto Sordi. Vita di Totò, Nannarella, Fausto Coppi, Mister Volare, fino al più recente, Ritratti. Collabora a Tempo Illustrato, Il Mondo, Astrolabio, L’Avanti, Paese Sera, L’occhio, La domenica del corriere, Eureka, Comic Art. Radiocorriere, Il Messaggero, Il Mattino, L’unità.
Crea e dirige per la Font Cetra la collana di disco-libri Folk e Folk Internazionale.
E’ autore e sceneggiatore di film e storie a fumetti.