Frascati, 14 febbraio 2004

Presentazione Villa Mondragone, Frascati

L’agriturismo è sempre più il luogo dove si acquistano prodotti tipici, si assaggiano, si impara come preparare e cucinare, ma la visita in azienda è anche occasione per potersi addentrare nella cultura gastronomica del mondo contadino. Questo è il percorso che ha compiuto Lorena Fiorini nel realizzare “I racconti dell’olivo e dell’olio – l’appetito vien leggendo”, una serie du racconti a tema che sono proposti all’attenzione degli ospiti dell’agriturismo e degli appassionati della gastronomia. Il testo è un esempio di come la comunicazione dei prodotti tipici possa essere realizzata anche attraverso la cultura ed il racconto.

Stanislao Nievo e i parchi letterari

Intervento del 14.02.2004

Cari Amici buongiorno. Non è la prima volta che vengo qui. Ci venni un’altra volta quando non c’era nessuno di voi. Ma non qui. Non c’eravate proprio. Dovevo andare a Mondragone come scolaro. Poi mio padre capì che non volevo stare in collegio e mi riportò a Roma, a studiare al Massimo. Tornando oggi ho visto, anche attraverso e le parole e le proposte che sono state fatte, il tentativo di una nuova forma di attività, una nuova forma di economia.
Il futuro dell’Italia non è certo nelle grandi industrie, lo è sì in parte, deve esserci, non è nelle imprese più o meno elettroniche e di tecnologia avanzata, lo è anche in quello. Ma cosa abbiamo noi che gli altri non hanno? Abbiamo duemilacinquecento anni di storia. Nell’Agro Pontino, da bambino vivevo in un luogo abbastanza vicino ad un grande roseto che copriva le rovine di un tempio dedicato alla Dea Madre, testimonianza di secoli di memoria. Il tempio c’è ancora. Quasi tutti l’hanno dimenticato, vorrei fare un centro di studi internazionale dei paesi che si affacciano nel Mediterraneo, credo che in questo luogo ci voglia un tempio di studi, di cultura della donna, della madre, anche perché se non ci fosse stata questa straordinaria creatura noi non saremmo qua. Abbiamo in questo territorio, nella Provincia di Roma, alcune primizie in questo senso. Viviamo in uno dei luoghi più antichi e continui di cultura, c’è solo la Cina che può servire da paragone, ma è lontana. E allora cosa possiamo fare? Non una forma di turismo rurale ma una forma di turismo particolare dove insieme all’economia che deve andare avanti ci mettiamo la nostra storia.
Perché la campagna romana ha attirato sempre tanta gente? Perché due sono le fasi della vita di ogni società. Quella della sopravvivenza che bene o male stiamo superando e quella della qualità della vita. Ebbene, l’agriturismo è uno dei canali che noi possiamo avviare e in cui possiamo essere qualcuno noi come italiani. Possediamo una miniera così ricca nella Provincia di Roma, ma non solo. Dalle Alpi alla Sicilia abbiamo avuto un periodo paleolitico dove le donne erano ancora più importanti, a loro dobbiamo la famiglia e l’invenzione dell’agricoltura.
Apriamoci un po’ alle motivazioni attraverso la cultura di tutte le discipline che riconosciamo. Questa mattina vogliamo sottolineare la necessità di essere vicini alla natura, vicini al paesaggio e al tempo stesso vicini alla nostra storia fino ai Castelli romani. Ci sono altre esperienze naturalmente, ma questa è quasi unica.
Tanti altri paesi hanno una loro storia, ma io che ne ho visitati circa 90 in cinq1uant’anni di viaggi in giro per il mondo, ritornando qui come fosse la prima volta, mi sono accorto della ricchezza che abbiamo. E questa ricchezza deve diventare economica, per tutti noi, insomma la nostra cultura deve produrre economia e lavoro, perché così potremmo dire ai nostri figli – non solo a quelli che frequentano corsi didattici e qualche cosa sanno di campagna – che attraverso anche queste forme la vita domani, dopodomani ricomincia in questo senso. Se noi vogliamo essere i padroni di noi stessi. Dopo possiamo entrare in un’economia internazionale dove naturalmente si fanno delle automobili e dei computer sempre migliori, dove giustamente le strutture mediche saranno allargate a tutti. Ma cosa ci rimarrà di individuale? Cosa differenzierà ognuno di voi e noi dagli altri come gli altri da noi?
Qualcosa intorno a noi, intorno a casa e che in qualche modo possiamo trasformare in una struttura che ci dia da vivere e specialmente per essere orgogliosi e fieri di essere noi stessi. La storia d’Italia è conosciuta a grandi tratti nei libri di storia, ma c’è anche una storia minore, dei mille paesi e cittadine italiane fatte di tante cose e persone sconosciute che sono state dimenticate e che devono essere rinnovate. E’ quello che si racconta nei miei Parchi Letterari, curati dalla Fondazione Ippolito Nievo che presiedo. I Parchi Letterari nascono dove un grande narratore o poeta ha cantato su una pagina un luogo ancora visibile in natura. L’autore diventa un po’ il nume tutelare di quel paese o quella cittadina, così partendo dalle sue parole o dai suoi versi – attraverso il viaggio sentimentale – rivive la storia minuta di quella località: dalle tradizioni alle invasioni, dall’artigianato all’arte, alla musica, alla pittura, alle vicende legate alla cucina. Insomma tutto quello che, toccando i cinque sensi, ha riempito di emozione l’autore tanto da fargli scrivere quella pagina.
I Parchi Letterari in Italia sono oltre una ventina da Nord a Sud, e sul finire del secolo scorso hanno avuto anche la Sovvenzione globale dall’Europa. Presto la Fondazione Nievo ne aprirà anche in Europa.
Ma ora, cari amici, cedo la parola a due rappresentanti del sesso femminile di cui abbiamo detto prima quanto teniamo a loro. Lorena Fiorini, scrittrice, racconterà di un suo libro “Racconti dell’olivo e dell’olio – L’appetito vien leggendo”, scritto sulla base di una delle sostanze che più ci accompagnano nell’esistenza: l’olio d’oliva, l’altra è la dott.ssa Maria Rosa Santiloni – giornalista, consulente dell’Accademia Italiana della Cucina e ricercatore storico gastronomico – che di queste cose ne ha fatto materia di studio.

 

MARIAROSA SANTILONI

Intervento del 14.02.2004

Quando Lorena Fiorini mi ha dato in visione “I racconti dell’olivo e dell’olio – L’appetito vien leggendo” spiegandomi che la presentazione era inserita nella manifestazione del 14 febbraio – “Un amore di campagna” – sull’agriturismo nel territorio della provincia di Roma, mi è sembrata una cosa molto appropriata. Forse non tutti sanno o non ricordano ma l’olivo e l’olio, in qualche modo, possano essere presi a emblema di Roma e del Lazio. Quale altra città, quale altra regione, infatti, può vantarsi di avere un monte fatto di frammenti di anfore olearie? Credo proprio solo a Roma, dove in zona centrale si erge per 36 metri di altezza (ma un tempo erano circa 70), il monte Testaccio, detto affettuosamente dai romani il monte dei Cocci, a motivo della sua composizione dei frammenti di 53 milioni di anfore olearie.
Questa collina, dal perimetro di 700 metri circa,è una testimonianza reale e visibile di come la storia di Roma sia legata all’olio. Il monte Testaccio, ha dato addirittura il nome al Rione sorto intorno che ha per simbolo proprio un’anfora in latino “testa”, da cui l’etimo.
Il “monte” inizia a formarsi nel secondo secolo d.C. dall’accumulo delle anfore olearie usate che per il loro contenuto non sono più riutilizzabili. E’ una grande discarica che, caduta in disuso alla metà del terzo secolo, avrà in seguito un destino straordinario. Unica nel suo genere per fascino, destinazioni future e per essere stranamente cantata e menzionata da una serie di autori. “Testaccio è un monte poco meno che il monte di San Miniato di Firenze fatt
o solo di vasi rotti.” ricorda Giovanni Ruccellai nel suo “Zibaldone Quaresimale”, datato 1450.
Ancora oggi, se salite in cima alla collina potete avvertirne la sua particolare magia.
“Per secoli sfinge misteriosa ai romani”, secondo la definizione di Domenico Orano, il monte dei Cocci fu un mistero archeologico fino ai primi del novecento, quando lo studio appassionato di due archeologi, Luigi Brusca e Heinrich Dressel, chiarì le modalità della sua nascita e ne scoprì la sua composizione di frammenti provenienti esclusivamente da anfore olearie.
D’altra parte che i romani amassero l’olio è cosa risaputa, basta scorrere il “De re coquinaria” di Apicio – il più antico ricettario pervenuto sino a noi – per avere conferma che la cucina romana era intrisa d’olio. Completamente intrisa d’olio. Certamente l’olio è sempre stato un valore prezioso. Il consumo dei romani in età imperiale era di circa 300.000 anfore l’anno pari a 23.000 tonnellate, con un consumo pro-capite di circa 22 chili. Roma allora non aveva una produzione così forte, c’era una piccola produzione nella Sabina dove l’olivo cresceva sub-spontaneo. Proprio qui, ancora oggi, cìè il più grande olivo d’Europa – sette metri di diametro il suo tronco – che produce dodici tonnellate d’olio all’anno. Un olivo antichissimo.
Dunque questa piccola produzione poteva bastare al fabbisogno dei romani che mettevano l’olio anche nei dolci? E allora dove prendevano l’olio? Inizialmente dall’Apulia, dall’Istria e dalla costa il lirica, poi attorno al 100 d.C. dall’Andalusia e dall’Africa. Le anfore olearie spagnole ne contenevano 73 chili, le africane, più piccole, 50 chili circa.
Gli esportatori erano molto precisi e le anfore riportavano i timbri di fabbricazione impressi sulle anse e i “tituli picti” con l’indicazione del contenuto, della provenienza, la data consolare e la destinazione. Proprio a Testaccio c’è una specie di borsa olearia dove i negozianti oleari si incontravano. Era un mercato molto fiorente. Quindi vedete come è lunga la storia che lega l’olio d’oliva alla storia di Roma.
C’è stato un momento che da valore alimentare forte l’olio divenne un valore debole. Quando? Quando con la decadenza dell’Impero romano cominciarono ad arrivare i barbari. I barbari usavano lo strutto, usavano il grasso di maiale e siccome la storia dei grassi è sempre legata alla politica e in seguito alla religione, andando ancora avanti nel tempo, durante i periodi di astinenza e digiuno imposti dalla chiesa cattolica cosa succedeva? Che naturalmente era un po’ difficile ottemperare ai precetti perché l’olio costava e allora che cosa si sono inventati? Addirittura l’olio lardino che non era altro che strutto fuso.
Questo per dirvi che c’è un cammino continuo di questo prezioso alimento e condimento che va di pari passo con la storia, per arrivare agli anni cinquanta quando gli studi dell’americano Ancel Keys e dell’italiano Flaminio Fidanza riportano al centro dell’attenzione l’alimentazione delle popolazioni del bacino del Mediterraneo dove l’importanza dell’olio è riconosciuta pienamente non solo per la sua bontà in cucina ma anche per il valore terapeutico nel mantenimento della salute e nella prevenzione.
Potrei dire ancora tante cose sul valore dell’olio d’oliva, voglio invece parlarvi di questo piccolo libro “Racconti dell’olivo e dell’olio – L’appetito vien leggendo” in cui l’autrice ne ha fato materia letteraria.. Dicevo oggi a Lorena che leggendolo mi è venuto in mente – e spero le porti fortuna – “Il Piccolo Principe” per molti è una favola per adulti, secondo me uno di quei libri che ognuno di noi dovrebbe tenere, diciamo, sul comodino e riaprire ogni tanto per scoprire o ricoprire che c’è molto di più fra le righe di quel che appare. Dico questo perché i racconti di Lorena, centrati su questo alimento così importante, questo oro liquido che noi tutti adoperiamo, hanno questa stessa caratteristica, questa genuinità. Lei segue un corso di studi universitari di psicologia e questo si avverte. All’apparenza, solo all’apparenza si tratta di storie casalinghe. La Fiorini racconta della sua vita, della famiglia e vediamo come il cibo si inserisca in modo particolare nelle storie come un filo lieve ma forte che le lega tutte.
Ve ne potrei raccontare diverse ma voi lo leggerete ed io non voglio togliervi questo piacere. A me è piaciuta molto, tra le altre, quella in cui parla delle acciughe marinate. Questo racconto è legato ad un ricordo che l’autrice ha di una gita in barca all’Argentario. Voglio leggervi una frase perché credo che semplifichi molto bene quello che voglio dirvi sull’insieme dei racconti. Lei ha portato queste acciughe marinate per il piacere degli amici, preparate, potete immaginare, con grande pazienza, spinate tutte, osservando tutte le dosi corrette per metterle sott’olio come si conviene. In mezzo al profumo e al sapore del pesce, ad un certo punto dalla barca si avvistano dei delfini che lei a prima vista non riconosce e quindi ha come un urlo quando vede che sono lì e seguono la barca. L’amica che l’ha invitata le parla della bellezza di questi animali e lei ad un certo punto fa una riflessione su se stessa e sulla vita: “Troppo seria. Troppo impegnata nelle vicende di tutti i giorni. E’ ora di ritrovare la leggerezza seguendo il lungo fischio di richiamo come quello che la mia amica Letizia ha rivolto ai delfini che ci hanno seguito per un lungo tratto regalandoci uno spettacolo davvero straordinario ed interessante”.
Ecco questa è un po’ la filosofia del libro di Lorena Fiorini. Tutti siamo assolutamente d’accordo che il cibo sia un elemento culturale, il passaggio dal crudo al cotto è un momento culturale, sappiamo quali valori prendiamo dal cibo, il più semplice, quello consolatorio. Tutti noi, o molti di noi, in un momento di tristezza o di stanchezza facciamo ricorso al cibo, sia a quello salato che a quello dolce. Nelle cerimonie religiose, lo sappiamo, c’era un momento conviviale. Era iol momento dell’unione tra l’umano e il divino – anche prima del profondo significato cristiano – era un momento particolare di condivisione non solo del cibo ma anche delle energie, per cercare in questo modo di superare un momento difficile.
Vorrei suggerirvi nella lettura di questi racconti, tutti molto piacevoli e godibili, di non fermarvi alla superficie perché – similmente al Piccolo Principe – tra le righe c’è molto di invisibile agli occhi, ma di visibile al cuore. Qui poi abbiamo il valore aggiunto dell’olio che lega quale filo magico questa bellissima regione alle sue vicende storiche, ma lega anche la vita di Lorena a questi racconti di cui ha voluto farci partecipi. Le vicende quotidiane che danno vita al piccolo volume, in qualche maniera, nascondono un messaggio per tutti noi. Almeno ogni tanto, per ritrovare il nostro equilibrio, è necessario distaccarci dalla vita frenetica di tutti i giorni, far emergere il fanciullo che c’è in noi, togliergli ogni aggiunta superflua, riportarlo alla quiete delle sue origini, alla madre terra.
Ecco questo può essere un piccolo aiuto.