FINALMENTE LIBERI CI HANNO CONSEGNATO UN’ITALIA LIBERA, memorie di un prigioniero per il 25 aprile di Lorena Fiorini
La memoria come veicolo per riappropriarsi di un sentimento che non possiamo permetterci di perdere: la libertà. In occasione dell’imminente ricorrenza del 25 aprile la scrittrice Lorena Fiorini ritorna alle parole del padre prigioniero di guerra per riscoprire il valore di patria e di rispetto dei vincenti, dei perdenti e dei prigionieri.
Oggi 25 aprile, festa della liberazione, è l’occasione per ricordare un soldato, un prigioniero di guerra, Bruno Fiorini. Per ricordare 7 lunghi anni dedicati alla Patria. La liberazione per lui è arrivata dopo un tempo lunghissimo trascorso tra avventure, privazioni, dolori, sofferenze dell’anima.
Lo troviamo tra le pagine del libro, “Betty, sono Bruno”, insieme a fatti, sentimenti, peripezie, impedimenti. Ecco, appaiono i valori, un papà come riferimento di valori, in primo piano la Patria. Ci sono racconti dai quali un figlio, nel caso specifico una figlia, traggono insegnamenti, delle vere e proprie pillole di saggezza regalate ai nipoti profondamente amati. Ecco una testimonianza:
Lorenzo è oggi negli Stati Uniti per conto della Marina Militare indirizzato verso la sua vera passione: il volo… Ho potuto seguirlo in occasioni importanti, che mi hanno riempito di ammirazione per questo grande nipote… Il giuramento, una cerimonia grandiosa, il ritorno dopo tre mesi di navigazione con la nave scuola Amerigo Vespucci, un momento tutto da ricordare. A Livorno rimasi, a dir poco, stupito nel vedermi comparire i miei due nipoti sulla nave. Valentina era andata per il TG1 a fare un servizio e io ho potuto vederla sul ponte della nave con il cannocchiale. Le gambe mi si piegarono per l’emozione, sapevo che Lorenzo era in quel preciso momento, sui pennoni della nave. Ho sentito una grande fierezza dentro di me: avevo visto giusto, avevo lottato, lavorato anche duramente, ma ce l’avevo fatta. Avevo trascinato la mia famiglia in alto, su un pennone decisamente più in alto di quello che avrei mai potuto immaginare. Ero felice come forse non lo sono mai stato nella mia vita.
… è un vero piacere ricordare, al pari di Lorenzo, l’entusiasmo provato per la Patria negli anni precedenti la disfatta italiana. Devo dire che dopo mi sono un po’ vergognato per la “figura” fatta davanti al mondo intero. Ho ritenuto, in qualche modo, il mio sacrificio di soldato prima e di prigioniero poi, sette anni di sofferenze. La mia giovinezza andata via, dispersa nel vento… Le pene inflittemi difficili da dimenticare… Auguro a mio nipote di avere un percorso diverso e di poter continuare a servire la Patria con la dedizione che gli vedo stampata sul volto e sugli occhi che brillano. (Pag. 226-227 “Betty, sono Bruno”)
Il Col. Antonino Zarcone, Capo dell’Ufficio Storico dell’Esercito Italiano, attraverso le sue parole ricorda un periodo della nostra Storia recente complicato, ricorda un uomo comune della nostra Patria e con lui rammenta tutti quegli uomini che hanno sofferto, lottato, alcuni non ce l’hanno fatta, altri hanno avuto la fortuna di ritornare anche se con grosse ferite dentro difficili da dimenticare. Finalmente liberi ci hanno consegnato un’Italia libera.
Le parole che seguono sono tratte da una riflessione rilasciata dal Col. Antonino Zarcone in occasione della presentazione del libro “Betty, sono Bruno” il 14 marzo 2012 al Circolo degli Ufficiali delle Forze Armate e che interpretano in modo pieno il sentire in relazione alla memoria.
La storia di Bruno è una storia comune a tantissimi giovani di quella generazione, generazione fortunata, sfortunata, che nasce dopo la prima guerra mondiale. Bruno nasce nel 1919, vive il fascismo, l’educazione fascista, il rapporto con le istituzioni del regime, comincia a portare la divisa da piccolissimo, racconta di lui che era figlio della lupa, poi vive la prigionia, la tragedia della guerra, le vittime del secondo conflitto mondiale. Questo giovane vive in un bellissimo posto, in quel del Casentino, nella bellissima Toscana, si trova ad andare in Africa, nella Guardia Frontiera, un’assegnazione che non gradisce, lui che era stato a malapena ad Arezzo e Firenze, le città più prossime. Lo mandano in Africa, lui che non ama il caldo, sperava di andare in tutt’altra parte, quando lo chiamarono lo mandano in Africa. Alla prima offensiva inglese viene subito catturato. Poi la sua vicissitudine nella prigionia che lo porta in Egitto, Sud Africa, infine vicino Glasgow in Scozia. Racconta la prigionia che vive con sofferenza per la lontananza da casa, però senza rancore, senza odio nei confronti degli inglesi per i quali lavora, anzi cerca di aiutarsi realizzando piccoli oggetti in legno che sarebbe bello ritrovare. Chissà se ce sono ancora? Forse qualche collezionista in Scozia. Vive questa sofferenza della prigionia, il momento peggiore quando riceve notizie da casa, quando riceve notizie della strage di Vallucciole. Credo che quelli siano i momenti peggiori. Più che angosciato per la sua prigionia, è angosciato per le sofferenze della sua gente, con cui ha condiviso l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza. Racconta la strage avvenuta in Toscana in cui i nazisti, in una rappresaglia immotivata, uccidono 108 persone, maggioranza di donne, vecchi, bambini, senza motivo. Ritorna a casa dopo tantissimo tempo e segue l’oblio della prigionia. Credo che uno dei meriti del libro sia proprio quello di ricordare la prigionia, più che la vita militare, la prigionia di Bruno. Perché dei prigionieri non si parla mai, il prigioniero è perdente e dei perdenti non si parla, si dimenticano, sono lì, è meglio che non ci siano, forse è meglio aver avuto un morto in famiglia che un prigioniero. Questo ritorna, è un intruso, ritorna dopo tantissimo tempo, è perdente, ha perso la guerra in malo modo, quindi è un testimone scomodo, si ricordava vicende sicuramente scomode. Lorena Fiorini ricorda la prigionia, oggi se ne parla poco. Solamente da pochissimi anni, grazie all’intervento del Presidente Ciampi e del Presidente della Repubblica Napolitano si parla, ad esempio, degli internati nei campi di concentramento in Germania, si è parlato per motivi elettorali, subito dopo la guerra, dei prigionieri della Russia, non tanto per parlare dei prigionieri, ma quanto perché c’era una lotta tra democristiani e comunisti, c’erano prigionieri politici, i prigionieri degli alleati sono dimenticati.
Una vicenda che getta luce su un periodo storico, sulle vicende dei prigionieri presi in Africa settentrionale e detenuti in Egitto prima, in Sud Africa poi, infine in Scozia. E’ la storia vista con gli occhi di chi l’ha vissuta, la tragica avventura raccontata senza sconti, le emozioni lasciate libere di esprimersi, anni durissimi da conservare come un bagaglio prezioso per apprezzare la vita e quello che può offrire anche nelle condizioni peggiori. Un esempio, un’esortazione per le nuove generazioni, libere, perché prendano lo spunto dal passato per costruire il futuro.