In ricordo di ALMO PAITA, un collega, uno scrittore, un Amico

Il nostro Almo, gli amici raccontano a cura di Maria Gabriella Carbonetto e Daniels Scattina

In ricordo di ALMO PAITA, un collega, uno scrittore, un Amico,

che ritorna da mondi lontani a farci visita, con un evento a sorpresa: la ristampa del suo volume La vita quotidiana a Roma ai tempi di Gian Lorenzo Bernini, che apre la rassegna, curata da Pier Luigi Vercesi, La storia vista dal bassodedicata alla Roma del Seicento

Appunti raccolti da Lorena Fiorini

 

 

E’ uscito in edicola, martedì 18 gennaio in omaggio con il «Corriere della Sera» il libro di Almo Paita La vita quotidiana a Roma ai tempi di Gian Lorenzo Bernini. Si tratta del primo volume della serie settimanale «Biblioteca della storia. Vite quotidiane», realizzata in collaborazione con Bur Rizzoli. Ogni uscita della collana offre al lettore un quadro esaustivo della situazione in cui conducevano la propria esistenza i nostri antenati delle varie epoche e dei vari luoghi presi in considerazione. Permette di conoscere quali erano le abitudini, gli strumenti più usati, le malattie più diffuse. Scopriamo inoltre le disuguaglianze, spesso enormi, tra le classi privilegiate e i ceti più umili. E poi i riti religiosi, l’amministrazione della giustizia, le differenze tra i periodi di pace e quelli di guerra. Il tutto ricostruito con la massima attenzione da storici specialisti di primo piano.

 

«La raccolta del fieno» (1889) di Giovanni Segantini

 

A volte sorge il dubbio: per capire il passato è più utile la letteratura o la storia? Non è una speculazione filosofica, è il rovello di chi vorrebbe scoprire cos’è l’uomo, che significato ha la sua vita, quali sono le sue origini e il suo destino, se è in grado di orientarsi in questo mondo con il sapere acquisito o resta un giocattolo in balìa della Natura e un trastullo degli dèi.

Fino a qualche secolo fa, la gran parte degli storici si occupava del nostro passato osservando la parte emergente degli eventi: grande politica, battaglie, trattati, conquistatori e sconfitti, trame di palazzo. L’uomo e la sua volontà di dominio, le imprese titaniche e i grandi gesti popolavano l’affresco della storia al pari delle maestose tele commissionate dai vincitori e appese nelle sale delle varie Versailles per incutere timore e reverenza agli ospiti. Era naturale che la storia la facessero scrivere i vincitori; i più acuti se la confezionavano addirittura da soli, come Giulio Cesare, Napoleone o Winston Churchill.

La Rivoluzione francese sgretolò quest’approccio. Messo «a riposo» Napoleone, un gruppo di studiosi francesi capitanati da AugustinThierry azzardò che c’era più verità nei romanzi che nei saggi di storia. Si trattava evidentemente di una provocazione per costringere gli accademici ad aprire gli occhi sul mondo reale. Non avremmo potuto capire la parabola umana se non avessimo cominciato ad occuparci anche di coloro che nei libri di storia non sono mai apparsi, vale a dire il 99 per cento di chi ha calpestato l’orbe terracqueo, e soprattutto di come vivevano, mangiavano, a quali commerci si dedicavano, come si vestivano, a quali credenze si votavano, come curavano i loro mali…

Sul palcoscenico della storia dovevano essere trascinati gli esclusi, gente che non aveva conquistato nulla, ma che vivendo nella propria comunità giorno per giorno aveva fatto evolvere le civiltà, aveva scalzato i despoti e aperta la via alla partecipazione collettiva, a qualcosa che aveva in sé il germe della democrazia.

Erano liberali (parola all’epoca equivalente a «sovversivo»), quegli storici, avevano in testa la borghesia come artefice della modernità. Fioriva proprio allora la grande stagione del romanzo e oggi potremmo anche sostenere che non si può conoscere la società russa senza leggere Tolstoj e Dostoevskij o la francese senza Balzac, Flaubert e Hugo, per limitarci ad alcuni nomi eccellenti.

Sempre in quel periodo si accorsero che senza Omero, Dante e Shakespeare era impossibile calarsi dentro alla storia dell’umanità e comprendere, prima di Freud, che passioni e pulsioni, bisogni e desideri orientano i destini di una società. Vennero poi Marx e il pensiero socialista ad ampliare il novero degli aventi diritto ad alcune righe nei libri di storia. Il resto lo fecero, nella prima metà del secolo scorso, storici francofoni come Marc Bloch, Lucien Febvre e Henri Pirenne. Cogliendo una nuova sensibilità nell’aria anche nel mondo anglofono, chiesero aiuto ad altre discipline, all’economia e alla geografia, alla sociologia e alla psicologia, e inaugurarono la stagione della nuova storia, quella che non disdegna gli anfratti delle piccole comunità.

Tanto riflettere, discutere e contendere sarebbe rimasto relegato alle cattedre universitarie se Bertolt Brecht non avesse spiegato di che cosa si stava parlando con una filastrocca comprensibile anche per un ragazzo delle scuole elementari: «Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì?… Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia, i muratori?… Cesare sconfisse i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco?… Ogni dieci anni un grand’uomo. Chi ne pagò le spese?».

La storia del quotidiano offriva finalmente la possibilità di partecipare a fatti che sembravano oleografie lontane, dogmi a cui inchinarsi. Rispondeva a domande come: perché sbocciò il Rinascimento ai tempi di Lorenzo il Magnifico? Perché i primi cristiani da perseguitati convertirono alla loro fede l’intera Europa? O, ancora, perché Roma, dopo aver conquistato tutto il mondo conosciuto, si sgretolò di fronte a orde di straccioni? Ora le risposte si possono trovare nei 35 volumi raccolti nella collana «Biblioteca della storia. Vite quotidiane» in vendita con il Corriere della sera, che sono anche il migliore antidoto alla superficialità di chi chiede l’abbattimento di praticamente tutti i monumenti del passato (non lo predicano anche i jihadisti?).

Se si conosce la storia quotidiana di chi ci ha preceduto, si capisce che il mondo non è fatto di bianco e di nero ma di infinite tonalità di grigio, e che pace e democrazia, per radicarsi, hanno bisogno di riconoscerle e ammetterle anche quando contrastano con il nostro modo di sentire. In buona fede, scivolando sul politicallycorrect, si rischia di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato, ovvero più intolleranza ed esclusione.

 

 

Il ricordo di ALMO PAITA

Di Lorena Fiorini

Dall’incontro del 4 maggio 2019 a Calice al Cornoviglio (La Spezia)

Grazie per avermi permesso di essere qui con voi a ricordare una persona, un collega, un amico caro, che oggi continua il suo viaggio da lontano, ma tanto vicino a noi, con un libro che resterà a futura memoria. Persona per bene, di un tempo, con ideali e valori intatti, con una dirittura morale assoluta, viaggiava sicuro portandosi dietro l’amore e una grande tenerezza per Marisa e i suoi figli Andrea e Massimo con le nipotine da un lato e l’attaccamentoall’Azienda Rai dall’altro. Dovunque il suo sguardo si posasse, dispensava attenzione,premura per gli amici e per le persone che incontrava lungo il cammino.

Le nostre stanze, al quinto piano di Viale Mazzini, nella parte che affacciava nel giardino interno lungo il corridoio che dava su Via Pasubio, erano attaccate. Io lavoravo nella segreteria di Giovanni Leto prima e di Mario Raimondo e Giancarlo Governi poi, ero allora responsabile della segreteria organizzativa e Almo si occupava di programmi.

Il mio viaggio in Rai, unica Azienda che aveva attirato la mia attenzione, era proprio la Rai, sentivo che lì dovevo andare, sentivo che lì si sarebbe svolta la mia vita, professionale eamicale in una crescita personale di tutto rispetto. Guardavo allora i miei colleghi con grande ammirazione e riguardo, ascoltavo moltissimo, le parole solo quelle necessarie, la vicinanza con i colleghi preziosa per le sollecitazioni che mi arrivavano. E il contatto con Almo mi faceva ritrovare un mondo che avevo lasciato, ma che avrei sempre ritrovato in un posto privilegiato del mio cuore. Così Calice al Cornoviglio, così Pratovecchio, leradici, l’infanzia, un mondo fatto di natura, prodotti genuini, affetti semplici e duraturi, un mondo da non disperdere, ma da ritrovare intatto nel lungo percorso della vita. Di questo parlavamo nei pochi momenti liberi, dopo il pranzo a mensa ci confrontavamo su un percorso simile, venivamo tutti e due dalla campagna e avevamo affrontato, con coraggio e grande voglia di fare, un mondo che non ci apparteneva, ma che sarebbe diventato il nostro mondo con una radice comune: la scrittura. Lì tendevamo, con una determinazione senza precedenti, con una voglia di esprimere sentimenti e storie forte quanto determinata. Il nostro procedere è stato lungo e in salita, ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti. I libri scritti e pubblicati lo dimostrano, pur per strade diverse e preparazioni altrettanto diverse. La Rai è stata il trampolino di lancio, per coltivare amicizie che ci hanno guidato, suggerito le svolte,hanno illuminato il cammino, il faro che ha indicato la direzione.

La mitica Struttura di Programmazione 4 di Raidue, che si occupava allora di fiction, acquisto e programmazione di film e telefilm, musica operistica, sinfonica e da camera, ma anche di inchieste e film, ci ha accolto con i nostri sogni e la voglia di fare, instancabili lavoratori alle prese con un’Azienda non sempre semplice, ma che è stata la nostra Azienda, da raggiungere e amare, aprendosi al dono ogni giorno, regalando a entrambi la gioia di una vita piena e ricca di eventi, sorprese, un andare avanti da inventare e costruire in collaborazione eaccompagnati da persone speciali e ai vertici della vita culturale italiana. I colleghi: Giancarlo Governi, Fiammetta Lusignoli, Francesco Tarquini, Giovanni Bormioli, Idalberto Fei, che seguirono Leto. Si aggiunsero dalle ex Direzioni dello Spettacolo e dei Culturali Luciana Catalani, Fiorenza Fiorentino, Giusi Robilotta, Graziella Civiletti, Giovannella Gaipa, Gigi De Santis, Luciana Ferrero, Anna Amendola, Paola Scarpa, Nedo Ivaldi, Lucia De Laurentiis. Letizia Palma si occupò del primo sceneggiato messo in cantiere dalla nuova Struttura, Madame Bovary. Si aggiunsero Luciana Tissi, che proveniva dall’Ufficio Stampa, Lida Berardi e Vieri Razziniarrivati dal Centro di Produzione TV di Roma. Per il settore Cinema la Struttura si avvalse della presenza di Pietro Pintus, stimato critico cinematografico, per i programmi musicali Cesare Mazzonis, che in seguito avrebbe avuto incarichi importanti, come responsabile dell’orchestra sinfonica di Roma e poi Direttore Artistico del Teatro alla Scala. Fu sostituito dai Maestri Lear Maestosi e Alberto Rocchegiani. L’organico si completava con Alberto Altieri, coordinatore e con me nella segreteria. Vivevamo in una Rete, condotta da Massimo Fichera, che oltre a informare, divertire, educare, i programmi televisivi potevano anche servire a criticare e discutere. Nella Struttura 4 ogni funzionario poteva raccogliere e proporre proprie e altrui proposte, che venivano poi esaminate nelle frequenti riunioni di Struttura. Un lavoro corale dove tutti potevano interagire e venirgratificati. Almo ha avuto la possibilità di ideare e curare la realizzazione di un programma, andato in onda in seconda serata con indici di ascolto e di gradimento di tutto rispetto. E ha legato il suo nome allo sceneggiato e al libro Il giovane Garibaldi.

A Giovanni Leto succede Mario Raimondo, uomo di teatro, ha lavorato ai programmi sperimentali, proviene dalla Terza rete. Uomo colto, raffinato, con una buona penna, avrà competenza anche sul varietà.

E’ il tempo in cui comincia a esaurirsi il ciclo del dopo Riforma e il monopolio vacilla per lasciare il passo alla Tv commerciale con la nascita delle TV private.

Erano gli anni in cui potevi incontrare nei corridoi del quarto e quinto piano di Viale Mazzini, i due piani ospitavano Raiuno e Raidue, autori diventati nel tempo famosi e che hanno lasciato il segno, del calibro di Andrea Camilleri, Renzo Rosso, Raffaele La Capria. In quei due piani sono passati personaggi, nomi importanti, ricordo Benigni alle prime armi con Televacca, Arbore alle prese con Quelli della notte e tanti altri.Abbiamo potuto avvicinare personaggi, vivere retroscena, battaglie, successi, ma anche rivalità, polemiche, progetti che non si sono realizzati. L’Azienda è stata ed è una finestra aperta sulla politica, sulla cronaca, la società, la cultura e noi avevamo la sensazione di vivere la realtà del nostro Paese con qualche anticipo rispetto ai tempi.

Almo ed io venivamo entrambi da responsabilità amministrative, da impegniche riguardavano ilpersonale, contratti e budget. Infine la creatività ha vinto la sua lunga battaglia e ci ha trasportato in un mondo di realtà e fantasia insieme, con la forza che deriva dall’attaccamento alla terra, alle radici, alla memoria che non va dispersa, a un mondo che riappareper dare consistenza al vissuto. Ha vinto il desiderio di riscatto e la voglia incontrollata di trovare il proprio centro, la propria strada. E questo ha voluto dire raggiungere e avere tra le mani carta stampata, libri che viaggiano, da seguire come figli, da donare, da presentare, da far conoscere, per depositare da qualche parte memorie preziose e vite dedicate, con uguale forza, alla terra e alla fantasia. Storie, nel caso di Almo, prese a modello e ripescate per aggiungere preziosità al ricordo di personaggi che hanno fatto la storia, e la vita di uomini illustri. Per me, più semplicemente, ricorrendo alla vita di tutti i giorni, al mettere insieme il pranzo con la cena, a studiare l’animo umano, a trarre vantaggio da quel tanto ascoltare, fino a trovare le parole giuste da scrivere e soprattutto trovare la voce, tagliata fuori per tanti anni da una città meravigliosa e allo stesso tempo lontana e da raggiungere per potersene appropriare. Le storie di Almo hanno il pregio di farci riappropriare del valore delle nostre radici e contribuire a rinnovare e rinsaldare quell’orgoglio e quel senso di appartenenza alla nostra comunità … Quel signore dai modi gentili e dalla profonda umanità, aveva una particolare forma di sete, un’esigenza quasi fisica oltre che spirituale. Quella sua necessità poteva trovare ristoro solo avvicinandosi alla fonte del sapere ma, quell’acqua, Almo, sentiva di poterla e doverla condividere con il suo prossimo (Daniela Scattina).

E’ Almo che si racconta: Avevo compreso che le mie radici non mi consentivano di pormi sullo stesso piano di colleghi cresciuti in famiglie più agiate, dove i libri erano strumenti diffusi. Ma quella era la mia nuova sfida.  La scrittura ci ha salvato la vita! La scrittura ci ha allontanato dalle brutture che inevitabilmente ti piombano addosso e dai quali puoi allontanarti per trovare rifugio nel tuo piccolo computer, che ti segue ovunque, con le storie, le tue e quelle degli altri. Anche in questo c’è una vicinanza con Almo. Leggo nella presentazione di Mario Scampelli al libro  Il nostro Almo, Gli amici raccontano, di Maria Gabriella Carbonetto e Daniela Scattina: “Con una forma lineare, chiara e di facilissima lettura, specchio fedele del suo garbato entusiasmo di testimone della società Calicese, Almo ci ha raccontato come eravamo e come, con quel poco che avevamo, siamo riusciti a fare cose mirabolanti… Almo è sempre riuscito a portare le emozioni e le passioni nei suoi libri che oggi, leggendoli, ce le restituiscono ancora più forti quali fili della trama del nostro tessuto identitario di comunità.

Caro Almo, oggi mi avvicino a te, in punta di piedi e con rispetto, riconoscendo il tuo valore di uomo che ha dedicato la sua vita alla crescita personale e a quella della tua famiglia, donando a noi tutti uno spaccato di storia, la grande storia, ma anche la piccola storia, quella che ha avvicinato più generazioni, ha messo a fuoco grandi personaggi, ma anche le traversie di un paese e le vite altrimenti sconosciute dei suoi abitanti. A futura memoria.  “Non solo ascoltatori, ma partecipi attori, testimoni di vicende che li hanno riguardati (Maria Gabriella Carbonetto).

Un uomo gentile con tutti, cortese, attento a chi gli passa accanto, con garbo, colto e intelligente, ha saputo portare in alto la vita di Calice al Cornoviglio, riservando dignità a storie di tradizione popolare. Saggista e narratore, abituato allo studio con dedizione e serietà, impegnato, ma anche ironico, un’ironia dolce, che non offende mai, ma che gli permetterà di confrontarsi anche con altri scrittori. Con una sensibilità e profondità fuori dal comune, sapeva trasmettere una serena saggezza.

Faccio mie le parole di Enrico Colombo: Ho imparato tanto dalla nostra amicizia, ho imparato quanto sia importante l’umiltà, la lealtà, ma sopra ogni altro argomento quanta bellezza poetica ci sia in noi, se riusciamo a conservare i misteri, le favole, la realtà familiare, che sono le solide basi per affrontare le avventure della vita, con la consapevolezza che ogni traguardo deve essere sofferto e conquistato.

L’interesse umano, letterario, storico e artistico condiviso con Almo permette oggi di gettare un seme per divulgare, fra i giovani, la cultura e la storia di vite vissute, per riappropriarsi del valore delle nostre radici, ritrovare terre ricche di storie e di bellezze naturali,suggestive, luoghi che ancora oggi conservano, quasi intatti, i segni dei tempi e riconducono a un’identità paesaggistica unica al mondo. Almo ci ha insegnato, grazie alla semplicità e al modo di fare spontaneo e riservato, e ha espresso la sua nostalgia e l’intatto amore per la sua terra attraverso il libro La vita quotidiana a Calice ai tempi di mio nonno: Il libro vuole essere anche una testimonianza e un aiuto a tutti quelli che si impegnano perché la memoria di quell’umile civiltà non sia travolta dal consumismo imperante. E mi riferisco in particolare a chi, con grande impegno e passione, si adopera per tenere vive le nostre tradizioni e la nostra cultura.

Mi ritrovo pienamente nelle parole di Antonio Bruni, che faccio mie: Almo Paita potrebbe scrivere la sua storia personale (un libro autobiografico), quella di un uomo che ha voluto mutare il suo destino e la sua vita, puntando sullo studio e conducendo bene un ruolo professionale pur diverso dalle sue aspirazioni: preferisce narrare le vite degli altri, che hanno però cambiato la sua.

Ci ha lasciato soprattutto l’esempio di una vita costruita passo dopo passo, con serietà e sacrificio, rispetto degli altri, orgoglio delle origini.

 

La collana «Biblioteca della storia. Vite quotidiane» prosegue con il secondo volume, La vita quotidiana a Firenze ai tempi di Lorenzo il Magnifico di Pierre Antonetti, che uscirà martedì 25 gennaio. Come tutti gli altri libri successivi della serie, sarà in vendita con il «Corriere della Sera» e con «La Gazzetta dello Sport» al prezzo di e 7,90 più il costo del quotidiano. Le uscite successive: Paul Faure, La vita quotidiana nelle colonie greche (1° febbraio); Jean-Paul Bertaud, La vita quotidiana in Francia ai tempi della Rivoluzione (8 febbraio); Paul Faure, La vita quotidiana degli eserciti di Alessandro Magno (15 febbraio); Jean-Paul Crespelle, La vita quotidiana a Parigi al tempo degli impressionisti (22 febbraio).

Il 4 aprile dal giornalaio trovate il secondo libro di Almo Paita dal titolo La vita quotidiana a Roma negli anni santi.