“Scrivere, leggere sono una zattera per rimanere se stessi” (Stanislao Nievo)
Stanislao Nievo è stato il mio maestro. Un maestro di scrittura, ma anche un maestro di vita. Un’esperienza straordinaria, un’avventura letteraria vissuta con lo scrittore che mi ha lasciato nel cuore un’impronta indelebile insieme a delle “pillole”, o come li ha chiamati lui, “degli spifferi d’aria”. Mi diceva: “Se lei sente che da questi spifferi d’aria dei nostri incontri le viene qualcosa va bene, proseguiamo, altrimenti no”. E anche: “Se qualcosa di quello che le dico non le va, me lo dica. È lei che scrive. Si ricordi che io tendenzialmente sono un po’ duro, ma lei sia sempre lei, Lorena”. Aveva, nei miei confronti, l’abitudine di dire: “Io ho parlato con rispetto e grande libertà. Ho cercato di tirar fuori le parole per vedere i fiorellini che ci sono. E li abbiamo trovati”. Il lavoro intorno al romanzo è durato più di due anni in incontri periodici nella sua bella casa ai Parioli. Nelle registrazioni ho ritrovato vari punti in cui parliamo dell’introduzione da fare al libro. Non avrei mai immaginato di doverla fare io e che il libro, giunto in porto, mi avrebbe obbligato a ricercare le sue parole per presentare il nostro lavoro. Alla mia domanda: “L’introduzione potremmo farla insieme?”, Stanis mi risponde: “No, la devo fare io, altrimenti lei la contamina”. E aggiungeva:”Si giochi bene il mio aiuto, lei dica che io l’ho accompagnata un po’. Mi ha accompagnato, mi ha dato dei consigli”. Generoso Stanis, uomo moderno ma con l’animo d’altri tempi. Un uomo piccolo, ma infinitamente grande. Ironico e divertente. Garbato e attento. Sensibile e pro iettato in un mondo lontano, ma anche tanto vicino al mio. Questo piccolo, grande uomo mi ha restituito forza a ogni incontro, sicurezza dopo ogni racconto esaminato. Credere nell’animo umano come qualcosa da conquistare, dopo averlo perduto. Più volte mi ha manifestato preoccupazione, a testimonianza di un affetto sincero, che questi racconti portassero un’immagine di me distorta e fossero oggetto di chiacchiere inutili. Le sue parole: “Scrivere significa mettere a nudo un’anima davanti al mondo. Significa affrontare il terrore di esser male interpretati su fatti privati e riservati che, se anche di fantasia, possono essere attribuiti allo scrittore”. Smarrimento d’amore ha iniziato a germogliare una sera di maggio di qualche anno fa, quando il destino mi fece sedere a tavola vicino a quest’uomo con pochi capelli e una gran barba in un allegro ristorante del quartiere africano. Insieme al gruppo festeggiavamo la fine di un corso di scrittura creativa, e Stanis mi invitò a proseguire lanciandomi vari incoraggiamenti che oggi leggo come un indirizzo preciso: “L’aiuto che si può dare a uno che sta in un mare burrascoso è un faro. Accendi un faro che ti dia la giusta direzione, va bene?”. Di questo avevo bisogno, di un faro, di trovare il faro dentro di me che mi indicasse la strada verso la parte più profonda e vera nel mio percorso: il percorso di una donna che nella scrittura troverà se stessa. Ma non era ancora il momento. Anni più tardi arrivò, dolorosissimo ed estenuante, il blocco della schiena. Dopo varie peregrinazioni che alleviarono il dolore lancinante, giunsi nello studio dell’osteopata che mi riportò al mondo con una cura da medicina non tradizionale. Ma soprattutto mi invitò, pur non conoscendo nulla di me, a scrivere. Ed era il secondo invito. Infine un’amica, che per me equivale al lettore (Stanis: “Le dico un segreto, il lettore vorrebbe essere al posto dello scrittore”), mi comunica la sua decisione di scriverci. Io sono andata avanti. Lei me la sono persa. Artisticamente parlando. Una cara amica alla quale nonostante le differenze voglio molto bene, e alla quale dedico tutta la riconoscenza per avermi messo in mano la matita che mi ha guidato fin qui. Da quel momento la scrittura è iniziata, ed è proseguita nei momenti liberi che ho sempre più cercato e trovato.
New Books, 2009